Pippone su società e libertà

Traendo spunto  da una discussione tra amici davanti ad alcune birre, ho voluto raccogliere alcune considerazioni sui massimi sistemi. E già questo la dice lunga sulla profondità dei contenuti….

La scelta

Se accettiamo il fatto che l’essere umano sia dotato di coscienza, dobbiamo ammettere anche che le sue azioni siano frutto di scelte. Queste scelte possono essere dettate dalla ragione o dall’impulso ma alla fin dei conti sono, appunto,  scelte tra varie possibilità.

Queste scelte sono fatte secondo il principio del “per il nostro meglio”, dove per nostro possiamo intendere noi stessi o persone a cui teniamo o, eventualmente, o la nostra comunità e per “meglio” potremmo intendere un interesse psicologico, fisico’ economico o altro. Va da sé che questo “nostro meglio” è soggettivo e contingente. Soggettivo, nel senso che quando scegliamo siamo “onestamente convinti” che sia per il “nostro meglio” pur ammettendo la possibilità di commettere un errore, e contingente perché ciò che oggi è il “nostro meglio” non è detto che lo sia domani. Siccome queste affermazioni mi sembrano intuitivamente condivisibili, evito di soffermarmi cercando di dimostrarlo.

Se escludiamo casi patologici, questa definizione dovrebbe contenere un po’ tutto. Si potrebbe obiettare che si possa essere indotti con coercizione a decidere tra più possibilità. Anche queste sarebbero comunque scelte, anche se la libertà di scelta verrebbe meno.

Le scelte che facciamo determinano ciò che siamo.

Appare abbastanza intuitivo, come concetto, ma qualche aspetto va sottolineato.

Ad esempio, non si potrebbe dire “siamo ciò che abbiamo scelto di essere”, dal momento che ci sono eventi incidentali, quali le malattie, che contribuiscono a farci essere ciò che siamo indipendentemente dalle nostre scelte.

Tolto questo, siamo effettivamente ciò che abbiamo scelto di essere, anche se siamo stati costretti a farlo.

Libertà di scelta e società

Essere costretti a fare una scelta è, in effetti, una questione fondamentale per molte ragioni. Quella che mi interessa ora è che la costrizione rimuove completamente la responsabilità delle proprie azioni. Questa è una questione talmente cruciale che viene dibattuta dai filosofi e teologi da secoli.

Va anche sottolineato che nel momento in cui si affronta la questione della “responsabilità delle proprie scelte” ci si muove dal personale verso il sociale. Infatti non ci sarebbe molto da discutere se le conseguenze ricadessero solo sull’autore della scelta.

Mi pare quindi di poter dire che la libertà di scelta sia il punto centrale nel momento in cui si affronta la questione delle scelte a livello sociale. Da questo punto di vista, in qualunque rapporto sociale non si può prescindere dalla libertà di scelta. Mi sembra infatti che in un contesto sociale non si possa accettare che “per principio” la responsabilità delle proprie azioni (frutto di scelte libere) non ricada sul suo autore.

Per questa ragione, la libertà di scelta deve stare alla base dei rapporti sociali.

Questa affermazione non esclude che siano necessarie altri elementi per far funzionare i rapporti sociali, né implica che non ci debba essere una gerarchia, stabilisce unicamente che questi elementi e queste gerarchie devono sempre garantire la libertà di scelta per poter mantenere la responsabilità delle azioni in chi le compie.

La migliore società possibile

La risposta è no, questa non è la migliore società possibile. Non lo è intuitivamente e non lo può essere nemmeno razionalmente.

Come detto, in quanto esseri limitati, le nostre scelte sono soggette a errori. Così come lo sono quelle individuali, in modi diversi, lo sono quelle di gruppo, sociali. Dico in modi diversi, perché gli errori non sono semplicemente determinati dagli errori individuali, ma anche da quelli determinati dal metodo utilizzato per collettivizzare una scelta individuale.
Appare evidente che se noi siamo (con tutte le limitazione espresse in precedenza) il prodotto delle nostre scelte, la società è il prodotto di tutte le scelte fatte precedentemente, siano esse individuali o collettive.

Alla luce di queste osservazioni risulta, non quantificato ma evidente, che la probabilità che non siano stati commessi errori di scelta è statisticamente irrilevante e poiché questa sarebbe la migliore delle società solo se prodotto di scelte esatte, ne consegue che questa non è la migliore società possibile. Se è così allora è non solo lecito, ma necessario porsi una domanda: quale sarebbe la migliore società possibile?

Valori etici

Per rispondere a questa domanda, verrebbe da dire: innanzitutto dobbiamo analizzare gli errori che sono stati commessi, determinare quali dovrebbero essere i valori ed i principi etici  di riferimento, immaginare un modello di regole per gestire le relazioni individuali e molte altre cose ancora.

Io credo che questo processo non solo non sia necessario ma che sia un’invenzione di chi, trovandosi a suo agio in questa società, non la voglia cambiare. Insomma una sorta di ostruzionismo. In particolare, credo che l’analisi degli errori commessi sia da limitare esclusivamente al riconoscere che errori sono stati commessi di certo. Penso anche che la determinazione dei valori/etica si possa risolvere con estrema semplicità stabilendo che ci  si deve basare sulla libertà e non serva altro, e che l’unica regola necessaria sia quella che definisce come si giunge ad una scelta sociale.

Per quanto riguarda l’individuazione degli errori, in modo piuttosto sbrigativo probabilmente, è possibile fare questa considerazione. Conoscere i propri errori è utile per evitare che questi vengano ripetuti. Questo è valido esclusivamente se i presupposti di partenza restano validi. Ma pasta che uno dei presupposti venga meno e ciò che è stato un errore potrebbe non esserlo più. Se, per esempio, si modificasse anche uno solo dei valori di riferimento, molte delle scelte sbagliate apparirebbero giuste e viceversa. Ma se vogliamo immaginare la “migliore società possibile” dobbiamo mettere in discussione anche gli stessi valori di riferimento e l’analisi degli errori risulterebbe inutile a meno che i valori non fossero gli stessi. Per risparmiare tempo, possiamo dire questo, qualora scoprissimo che i valori di riferimento sono immutati, andremo ad analizzare gli errori.

Tra tutti i valori che ci potrebbero venire in mente, ce n’è uno che sta sempre alla loro base ed è la libertà. Senza la libertà, non ci può esser alcun altro valore.

Vorrei fare una precisazione. Nel momento in cui faccio uso del termina “valore”, lo faccio in un senso molto ampio includendo oltre a quelle caratteristiche che normalmente si riferiscono all’etica, anche a quelle che si riferiscono a diritti. Questo per il fatto che definire solo i valori senza legarli al diritto di esercitarli, pone un serio limite, che viene fin troppo spesso utilizzato per negare quegli stessi diritti. Per esempio, il valore “vita”, nel senso di inviolabilità della vita, per quanto scontato nel “nostro” sistema etico, di fatto viene sistematicamente violato proprio perché non viene garantito il diritto alla vita, basti pensare alle guerre o alla pena di morte.

Prendiamo ora, ad esempio,  il valore “vita” e priviamolo dell’attributo “libertà”. In queste condizioni, sarebbe possibile prendere una persona, costringerla in un tugurio, in catene,  e sostenere di aver comunque garantito il diritto alla vita. E’ evidente che quella non sarebbe vita nel senso comunemente inteso. Per questa ragione possiamo sostenere che la vita (il valore “vita”) ha alla sua stessa base la libertà.

Questo concetto di libertà (che sta alla base dei valori etici e che include la “libertà di scelta”) potrebbe, a prima vista, richiedere dei limiti. Ad esempio, si potrebbe sostenere che io potrei essere libero di uccidere un’altra persona e che pertanto, per evitare questa possibilità, è necessario confinare la libertà in qualcosa di molto simile a “la mia libertà finisce dove inizia la libertà altrui”. In realtà questa necessità è frutto di un errore grossolano. Si tratta della confusione tra libertà individuale e libertà sociale. La questione però non sussiste, dal momento che questa dicotomia è assolutamente fittizia. Essendo parte di una società, infatti, la mia libertà coincide con la libertà sociale e questa è alla base del valore “vita” (diritto alla…). Quindi la “libertà di uccidere” di fatto è una “non libertà” e come tale, inesercitabile.

Pertanto, per giungere ad una conclusione, affrettata a dire il vero, l’unico valore etico realmente necessario, nell’ottica di concepire la “migliore società possibile”, è la libertà. Tutti gli altri valori potrebbero essere parte dell’etica di questa società tanto quanto non in contraddizione con questo principio.

Il lavoro

Una società necessita, per esistere, del contributo di tutti, questo contributo è il lavoro. Il lavoro è, però, anche uno degli elementi attraverso il quale l’essere umano si realizza e, quindi, non potrà mai essere in contrasto con il principio di libertà. Sottolineo che non sto parlando di come funziona oggi la società, ma di come dovrebbe funzionare la “migliore società possibile”.

Per poter funzionare, è necessario che ciascuno possa svolgere la professione che preferisce in modo che possa essergli garantita la libertà (in questo caso di sviluppare le proprie attitudini ed inclinazioni). Questo crea una questione: “chi farebbe quei lavori necessari che nessuno vuol fare”? La questione, in realtà, è abbastanza marginale, visto che i lavori veramente essenziali sono minimi, la cosa, però, potrebbe essere facilmente superata usando un sistema di turni: di tanto in tanto dedico un po’ del mio tempo alla società svolgendo l’attività non gradita.

Per quanto riguarda il “cosa fare” è necessario che si trovi un meccanismo attraverso il quale vengano fatte le scelte. L’unico meccanismo che garantisce la libertà, è quello dell’assemblea dei lavoratori. Attraverso di essa vengono fatte le scelte strategiche di sviluppo che decide a maggioranza. Attenzione, le scelte non possono essere vincolanti per la minoranza se questo dovesse implicare un effetto negativo sulla libertà della minoranza, pertanto ogni scelta dovrà prevedere anche come la minoranza sarà garantita.

Questa regola di scelta può essere poi applicata facilmente in ogni contesto.

Il limite apparente di questo sistema è che se funziona a livello locale (piccole società) non può funzionare su larga scala. Ad esempio sarebbe impossibile che per ogni decisione venissero interpellati tutti i cittadini di uno stato.  Ed è vero. Ma prima di proporre una soluzione, val la pena di chiedersi: “servirebbe una struttura governativa permanente che si facesse carico di problematiche di ampia scala?”. La risposta è no. Non solo non è necessaria ma sarebbe anche deleteria. La maggior parte delle questioni, infatti, riguarda il rapporto tra attività contigue, nel qual caso immaginare un’assemblea allargata a due unità lavorative mi sembra abbastanza facile. Per quei casi nei quali è richiesta un coinvolgimento più ampio, potrebbero venir creati dei comitati ad hoc, eletti tra i lavoratori e che esaurirebbero la loro funzione immediatamente dopo aver affrontato la questione. Quindi, in sintesi, nessuna forma di democrazia rappresentativa, ma un approccio di democrazia diretta dal basso, unico che garantisce il reale esercizio della democrazia.