La depressione è una patologia bastarda, ti entra dentro un po’ alla volta, giorno dopo giorno. Non è che ti svegli un giorno, ti guardi allo specchio e vedi un altro e dici: “cazzo, sono depresso”. Ogni giorno ti svegli , ti guardi allo specchio e sei quasi come quello di ieri. Quasi. Nel quasi, c’è la fregatura. Perché giorno dopo giorno, diventi un altro senza accorgerti. Un po’ come la rana bollita.
Il lavoro è una necessità. Andrebbe ripetuto mille volte ogni giorno. Siamo, di fatto, costretti a lavorare per vivere e a volte pure per sopravvivere. Il lavoro è un diritto, quindi, anche se non fosse stabilito dalla Costituzione, lo sarebbe per questo suo essere necessario. In ogni caso è pure stabilito dalla Costituzione.
Perdere il lavoro è di per sé una questione seria, spesso drammatica. Essere licenziati vuol dire venir privati di un diritto. Negare persino che quel diritto esiste. In un qualche modo è anche negare il diritto ad un’esistenza decorosa, spesso negare il diritto ad una famiglia. Certo, una persona che viene licenziata può cercarsi un nuovo impiego, se le condizioni lo consentono realisticamente, ovvero in condizioni diverse da quella di consolidata e stabile crisi del lavoro in cui viviamo.
Proviamo ad immaginare una condizione di licenziamento collettivo dove una parte o la totalità delle lavoratrici e dei lavoratori, viene posta di fronte alla possibilità, più spesso alla certezza, di perdere il lavoro. Immaginate una madre o un padre monoreddito, una coppia che lavora nella stessa azienda, qualcuno che ha il coniuge ammalato e che non può lavorare, chi deve anche assistere un invalido e non può allontanarsi dalla città, persone prossime alla pensione ma non abbastanza per andarci. Non sono figure retoriche, sono tutti casi reali in u-blox Italia, e di certo me ne sono scordato qualcuno.
Di fronte a tutto questo è ragionevole aspettarsi che la prospettiva di ritrovarsi senza il proprio lavoro, conduca una persona all’ansia, alla depressione o persino ad un disturbo postr-traumatico da stress.
In questa situazione, l’azienda che decide di procedere, per qualunque ragione, al licenziamento collettivo si sta assumendo la responsabilità morale, se non penale, delle conseguenze di queste patologie. E se in conseguenza di ciò, succede qualcosa di più serio… “Provate pure a credervi assolti Siete lo stesso coinvolti” (cit.)
Per questa ragione, la RSL di u-blox ha chiesto all’azienda, che si è detta disponibile, di predisporre un effettivo punto di ascolto per tutti coloro che si trovano in una qualche difficoltà psicologica.
Queste, come detto, sono patologie pericolose. Non si deve temere di chiamarle con il loro nome “patologia” perché come ammalarsi fisicamente non può essere una colpa, così non può esserlo una sofferenza psicologica. E come si va dal medico per curare i malanni che colpiscono il corpo, così ha senso rivolgersi ad uno specialista dei malanni che colpiscono la nostra “mente”.
In questo percorso nel quale una persona può trovarsi, il punto di partenza è sempre la consapevolezza del proprio stato, un’autovalutazione che non sempre è semplice. Per questo, solo allo scopo di stimolare una riflessione su sé stessi, condivido alcuni link a test anche se non sono in grado di valutare la loro validità, pur sembrando nelle affermazioni attendibili.