Ladri di pane

ladroAnche in una città tranquilla, a volte spenta, come Trieste, da sempre ritenuta oasi felice, luogo dove trascorrere in tranquillità la vecchiaia, anche qui, ogni giorno ci si può confrontare con le molteplici facce della realtà e con il forse inesorabile ma certamente evidente degrado della società.

Basta guardarsi in giro e si può scoprire come per le strade ci sono sempre più persone che trovano nell’elemosina l’unico sostentamento. La cronaca è sempre più ricca di episodi legati alla povertà ed al disagio sociale. Furti per procurarsi cibo o vestiti sono quotidiani o quasi.

A questi cambiamenti la società, anche in questa città, risponde malamente, senza affrontare la situazione, capendone le cause, primo passo chiave per risolvere qualunque problema, ma con il rifiuto. Il rifiuto della presa d’atto che la società non è più la stessa, il rifiuto dell’”altro”, di chi si trova in difficoltà, di chi è venuto qui richiamato da una speranza negatagli nel suo paese d’origine.  E questo rifiuto si sfoga, finalmente, in una apparente richiesta di “giustizia” che cela, al contrario, la volontà di punire questi “criminali”. Ma non si tratta di una punizione “(ri)educativa”, si tratta di sfogo di rancore, di desiderio di vendetta.

Sentimenti non rivolti in realtà verso chi ha commesso il reato, ma verso la società, intesa come qualcosa di alieno e spersonificato che proprio per questo è inafferrabile, non additabile o imputabile,  e causa di frustrazione. In realtà questo processo di sostituzione è più complesso, ma la necessità di sintesi di questo contesto non mi consente di articolarlo ulteriormente.

Sarebbe dovere della politica affrontare e risolver questa situazione, ma la politica, intesa come quella casta di persone che vivendo sulle saplle dei cittadini pretendono di poter determinare le loro vite, sulla base di un’interpretazione fraudolenta della delega ricevuta attraverso il voto, è interessata a ben altro.

In mancanza di soluzioni istituzionali è quantomai necessario recuperare un sentimento di solidarietà nei confronti di chi ha di meno, poiché si trova in quello stato non per sua scelta (fatta eccezione per rari casi) ma perché vittima di quella stessa classe politica, a volte, pure sfortunatamente nato in un paese nel quale le cose stanno pure assai peggio che qui. Solidarietà verso chi è venuto qui per cercare di esercitare quel diritto alla vita che ciascun essere umano acquisisce con la nascita. Come si può accettare rassegnati che il destino dipenda dalla fortunata circostanza di esser nato in un paese ricco o da quella disgraziata di esser venuto al mondo in uno povero? O in una famiglia ricca invece che in una povera? Quindi, come rifiutare chi per cercare di fuggire a questa rassegnazione è arrivato fino a qui?

Grazie a quella politica di cui dicevo prima,  il rancore viene esteso dal “ladro” a tutti quelli che in qualche modo hanno tratti comuni con lui. La lingua, la religione, il colore della pelle. In questo modo, alla solidarietà si sostituisce il razzismo, concime sociale sul quale certe malerbe san crescere assai bene.

Ed allora? Allora, dobbiamo rifiutare quest’idea che chi ruba un pezzo di pane o dei vestiti sia un ladro. Egli è semplicemente una persona che esercita il suo diritto alla vita e che pertanto merita solidarietà.

Ma ci sono le leggi, si obietterà. Vero, ma è altrettanto vero che le leggi non possono calpestare i diritti fondamentali delle persone. Primo tra tutti quello alla vita ed ad una vita dignitosa, principio questo che trova immediato e chiaro riscontro anche nella carta costituzionale della repubblica Italiana.

Sventolare leggi contro chi ruba per fame significa macchiarsi di un delitto assai più grave, è un attentato alla vita ed alla dignità di quella persona. Ed a poco serve sostenere che, invece di  rubare si può elemosinare qualcosa presso qualche istituto di carità, poiché chiedendo questo si pretende di circoscrivere queste persone in spazi sociali e fisici privi di intersezioni col modo “pulito ed ordinato” dove le coscienze possono continuare dormire inerti.

Come cantava il Faber: “Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame.” (F. De Andrè)