Bufere - Grazie a http://www.ileanadellamatera.net/
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Anihsa fu svegliata dalle voci concitate che provenivano dal corridoio. Riusciva a distinguere abbastanza bene ciò che veniva dai due: El Morro e, da quello che si dicevano, intuì, il nostromo.

“Morro, te l’avevo detto fin dal primo momento: le donne a bordo portano disgrazia.Anche l’equipaggio la pensa così, sono nervosi. E questo tempo non dice niente di buono”.

In effetti l’aria era molto pesante, afosa. La nave si muoveva lentamente in una calma quasi piatta.

“Il motore”, continuò il nostromo, “non parte. Stanno cercando di ripararlo e se non ci riescono… lo sai che significa, vero?”

El Morro attese qualche secondo prima di rispondere. “Sentimi bene, quanti anni sono che navighiamo assieme? Ero un ragazzino quando ci siamo incontrati la prima volta, e da allora quante volte ti ho messo nei guai? Mai! Allora fidati di me. La sventura, la sfortuna, non esistono quindi lascia perdere le credenze popolari. Il tempo non piace neanche a me, però quello che mi aspetto è un bel temporale, tutto qui. Siamo alla fine di Giugno, quanti tifoni hai visto in Giugno in tutta la tua vita in mare? Forse due o tre. Comunque se si alza un po’ il vento o se riusciamo a far partire il motore scenderemo un po’ più a sud. Così saremo tutti più tranquilli”.

“Questa volta è diversa, credimi” riprese il nostromo “ho fatto misurare la temperatura dell’acqua: 30° in superficie, quasi 27 a -50m. Il vento si è calmato perché sta girando, non è normale di questi tempi. Sono certo, quello che ci aspetta è un tifone. Ed è vero, tifoni in giugno ne ho visti tre, ma sono stati i peggiori della mia vita. Se sono qui a raccontarlo è perché in due casi la nave sulla quale mi trovavo era grande almeno quattro volte questa e non aveva problemi a governare. La terza, ho fato naufragio e mi son salvato solo perché viaggiavamo in flotta! Ma fai quello che vuoi, sei tu il capo!” E così dicendo uscì in coperta sbattendo la porta.

El Morro rientrò in cabina, Anihsa poteva sentirlo passeggiare su e giù nervosamente. Non si sentiva affatto tranquilla, ma non aveva il coraggio di uscire dalla sua cabina per andare a chiedere al pirata che cosa stesse accadendo.

Il comandante, alla fine, uscì dalla sua cabina e si diresse in coperta.Appena uscito vide una parte dell’equipaggio che discuteva, il gruppetto si dissolse non appena si accorsero della presenza del comandante.

“Nostromo, raduna l’equipaggio!” Benché fossero amici di lunga data, nei momenti più critici e soprattutto di fronte all’equipaggio, i due avevano un atteggiamento formale.

In pochi minuti tutto l’equipaggio fu raccolto in coperta. Erano una trentina di uomini, alcuni navigavano con El Morro da lungo tempo. Altri avevano trascorso in mare assieme solo pochi mesi. Quello del comandante fu un discorso breve; spiegò la situazione, descrisse il guasto al motore, e, soprattutto, informò gli uomini della burrasca in arrivo. E concluse dicendo: “Abbiamo superato tante battaglie, abbiamo navigato i mari di tutto il mondo, e non sarà certo una tempesta ad impedirci di ritornare alle nostre case. Tra pochi giorni saremo a terra, in tempo per la “noche del loco”, vogliamo perderci la festa?” L’equipaggio all’idea della festa, delle danze, dell’incontro con le loro donne e con il buon vino, si rinfrancò decisamente e rispose all’unisono alla domanda che era stata posta.E ridendo e scherzando sulla festa che li aspettava ritornò alle attività.

Alle spalle della nave si stavano intanto formando nuvole scure che non facevano presagire nulla di buono, “Arriverà stanotte, se non prima. C’è poco tempo.”

Scese di corsa in sala macchine, dove trovò il motorista alle prese con le riparazioni. “Vedi, Morro? queste sono le molle della valvola di aspirazione di uno dei pistoni. Sono spezzate. La valvola è salva, per fortuna, ma il motore non può funzionare senza queste molle. Mi chiedo come sia possibile, tutte e due le molle spezzate, neanche avessimo il malocchio!”.

“Va bene disse El Morro, fai il possibile. Abbiamo ancora alcune ore a disposizione.” E salì in coperta.

“Nostromo, prepariamoci. Diamo tre mani di terzaroli alle vele di maestra. Ammainiamo le altre. Se il motore non parte, governeremo con queste.” Il nostromo se ne andò ad impartire gli ordini ricevuti alla ciurma, ma non appariva troppo convinto.

La pressione stava calando rapidamente e le nubi erano ormai molto vicine e cupe. Il vento ora si stava levando. Furono assegnati i turni, preparate le cime alle quali i marinai si sarebbero legati per non essere strappati dalla nave dalla forza del vento.

Il nostromo fece il giro della nave per accertarsi che oblò e boccaporti fossero chiusi. Bussò alla porta di Anihsa e le disse “Devo controllare che le cose siano a posto. Posso entrare?” La voce femminile rispose “Avanti”.

Entrò e per la prima volta dalla notte del rapimento vide la donna. Rimase alcuni attimi fermo sulla soglia ad osservarla, e si fece un’idea tutta sua sul perché El Morro l’avesse rapita.

“Devo chiudere l’oblò, signora, è in arrivo una tempesta”. “Si, l’ho capito. Tu che ne pensi?”

“Sinceramente?” Senza attendere risposta disse: “Credo che sarà una tempesta molto forte. Ho seri dubbi che la nave possa superarla visto che abbiamo il motore in avaria.”

“No, non mi riferivo alla tempesta. Ne ho passate tante di ‘tempeste’ nella vita, questa non sarà peggio delle altre. Mi riferivo alla mia presenza sulla nave”.

“El Morro avrà i suoi buoni motivi per averti rapita. A guardarti non gli posso dare torto. Ma penso anche che una donna a bordo porti sventura. E tu sei certamente una donna. Ma mi fido ciecamente di El Morro e l’equipaggio pure. Hanno paura perché sanno che il rischio e grosso, ma qui ognuno è disposto a dare la propria vita per salvare l’altro e chiunque sarebbe disposto a sacrificarsi per te se fosse necessario. Nell’armadio puoi trovare un giubbotto salvagente. Indossalo. Scusa, ma devo andare a finire il giro.”

Il mare si era ingrossato e le onde raggiungevano quasi i due metri d’altezza. Il vento era molto teso, però la nave sembrava reggere bene. Benché fossero le quattro di pomeriggio, era quasi buio, tanto il cielo era coperto.

Man mano che passava il tempo le condizioni peggioravano a vista d’occhio. Ora c’era una pioggia molto intensa e dalla poppa della nave era quasi impossibile vederne la prua. Il vento soffiava a raffiche molto intense e la nave beccheggiava paurosamente per le onde di quasi sei metri.

Una raffica particolarmente forte strappò una delle cime dell’unica vela spiegata. La vela precipitò sulla coperta travolgendo uno dei marinai. In due accorsero per aiutarlo, ma uno dei due aveva commesso l’imprudenza di non legarsi ad una delle cime di sicurezza, così quando un’onda lo travolse fu sbalzato fuori bordo.

“Uomo in mare!” Urlò a squarciagola l’altro soccorritore e “Uomo in mare!” ripeté il nostromo in modo da far giungere l’allarme fino al comandante e lanciò fuori bordo un radiosegnale. El Morro segnò il punto poi tentò di far virare la nave. Il tentativo fu inutile, la cima spezzata era andata ad incastrarsi su uno dei tiranti del timone. Ora la nave era del tutto ingovernabile e non poteva affrontare più le onde di tre quarti ma era in balia di mare e vento. Se una delle onde, che ormai erano alte anche più di dieci metri, avesse colpito la nave di traverso l’avrebbe quasi sicuramente fatta capovolgere. Se invece fosse arrivata di poppa sarebbe stato anche peggio, molto probabilmente sarebbe affondata in pochi attimi, senza lasciare scampo a nessuno.

El Morro lasciò il timone ormai inservibile e corse fuori. Si legò una cima di sicurezza alla vita e chiese cosa fosse successo. Quando capì la situazione si tolse rapidamente il salvagente e quanto poté dei vestiti. Controllò la lunghezza della cima e si diresse verso poppa. Poi rivolto al nostromo disse: “Tre strattoni. Quando dò tre strattoni ritirate mia bordo”. Anihsa era salita sul ponte di comando per capire cosa stava succedendo. Giusto in tempo per vedere il pirata tuffarsi in mare. “Noooooo!!” Le uscì urlando dalla gola. Si afferrò al davanzale della finestra per evitare che il rollio la facesse cadere a terra. E rimase attonita ad osservare il mare che aveva inghiottito l’uomo. In quel momento le tornarono alla mente le parole del nostromo: “penso che una donna a bordo porti sventura.” Forse era così, forse lei portava veramente sfortuna. Ritornò in cabina presa da una profonda tristezza. Ormai la burrasca non la riguardava più, voleva solo sfogarsi.

Nel frattempo a poppa non c’era più traccia del comandante. Era sparito nell’acqua da più di tre minuti ed il marinaio che reggeva la cima urlò al nostromo “basta, tiriamolo su!!”. “Ancora un attimo” disse, afferrando la cima. I secondi passavano lentissimi, poi all’improvviso la cima si fece tesa e fu percorsa da tre strattoni.

“Ora, tiratelo su ora! Fate presto!” I marinai issarono il loro capitano, stremato ma ancora vivo. Tossì fuori una bella quantità d’acqua poi, aiutato dai suoi uomini, rapidamente si riprese.

Corse al timone, ma ormai anche l’ultimo brandello di vela si era strappato. Lo sforzo per ripristinare il timone era stato del tutto inutile. Un’onda enorme travolse la nave prendendola di tribordo. La nave rollò fino quasi ad imbarcare acqua. In cabina Anihsa fu sbattuta a terra battendo violentemente il capo e perdendo i sensi. El Morro, rimase attaccato alla barra del timone.

Quando la nave si addrizzò, El Morro si sentì attraversare da una profonda sensazione di frustrazione. La prossima onda di traverso avrebbe dato il colpo di grazia. Proprio mentre stava per lasciare il timone, sentì la nave vibrare. Non poteva che essere una cosa sola: erano le vibrazioni del motore acceso. Ordinò al nostromo di prendere il timone. Scese in sala macchina senza nemmeno toccare i gradini della scala. Era mezza allagata, ma il motore era in funzione. Il motorista era piuttosto malconcio, ma ce l’aveva fatta.

Tornò al posto di comando e cominciò a manovrare. “Presto” disse “andiamo a recuperare il marinaio”. La nave faceva fatica a procedere, però almeno poteva essere governata affrontando le onde in modo da non subire danni. Il radiosegnale lanciato in precedenza era non molto distante ed in alcuni minuti lo raggiunsero.

La pioggia ed il buio impedivano di vedere l’uomo in mare ma lasciavano intravedere la luce intermittente del dispositivo. Si avvicinarono con la speranza che il marinaio lo avesse raccolto. Illuminarono con un faro la zona e videro il bagliore dei catarifrangenti sul salvagente. Un marinaio si gettò in mare con una cima di salvataggio e raggiunse il compagno. Lo agganciò e vennero tirati su entrambi. Il ferito fu disteso a terra e, non senza difficoltà per la burrasca, rianimato. Ancora qualche minuto in acqua e sarebbe certamente morto.

La serie di eventi positivi rianimò l’equipaggio che ora vedeva la tempesta meno grave di quanto avesse temuto. Ciononostante erano ancora in mezzo ad un tifone, l’attività era ancora molto intensa e così nessuno si pose il problema di che fine avesse fatto la donna. Nessuno eccetto El Morro. Si preoccupava sempre per tutti e quindi anche per lei. Visto che nonostante le avversità la situazione era saldamente nelle mani del fidato nostromo, decise di andare a verificare di persona.

Scese nelle cabine, bussò alla porta ma non avendo risposta entrò. Anihsa era riversa a terra, il suo sangue aveva formato una piccola chiazza che dalla nuca si estendeva verso la spalla, macchiando la camicia che indossava. Le tastò la giugulare: era ancora viva. Chiamò l’infermiere che accorse rapidamente. A bordo non c’erano medici, solo un infermiere. In realtà non era nemmeno un infermiere, aveva studiato medicina per alcuni anni, poi aveva assistito ad un evento tragico, come lo definiva egli stesso, che però non aveva mai voluto raccontare. In seguito a quel fatto, aveva deciso di mollare tutto e di unirsi ad El Morro. Da quel momento era diventato per tutti l’infermiere, titolo poi confermato sul campo.

Si avvicinò alla donna quasi con circospezione, in effetti era abituato ad occuparsi di combattenti grandi e grossi ed avere a che fare con una donna lo turbava un po’. La visitò e notò che la ferita non era grave. Il fatto che non riprendesse i sensi la considerò una cosa normale, viste le condizioni e, dopo averla medicata, sentenziò che avrebbe avuto bisogno solo di un po’ di riposo. Comunque sarebbe ripassato appena possibile per un controllo.

El Morro, fu l’ultimo a lasciare la cabina e prima di andarsene si soffermò ad osservare Anihsa, rammaricandosi per la situazione in cui l’aveva messa. Immerso in questi pensieri le sfiorò la mano per salutarla, percependo immediatamente un’ energia intensa che lo rinfrancò non poco.

Erano trascorse quasi venti ore dall’inizio della bufera che non accennava a placarsi. Nonostante i turni, gli uomini erano molto provati e fra questi anche El Morro che, a differenza degli altri, non si era fermato mai a riposare. Era esausto e quando il nostromo gli disse che avrebbe dovuto riposare un po’, si rese conto che, in quelle condizioni, era più d’impaccio che d’aiuto. Così decise di andare nella sua cabina per riposare un paio d’ore.

Appena si stese sul letto piombò immediatamente in un sonno profondo.

Nel frattempo, nella stanza accanto Anihsa si stava risvegliando. L’infermiere, che si era fermato a visitarla, la aiutò a sistemarsi più comodamente e le offrì un po’ d’acqua. Era ancora molto debole, ma il marinaio la giudicò fuori pericolo. Così la lasciò con accanto un po’ d’acqua, delle gallette ed un po’ di miele. Quanto di meglio poteva offrire la nave pirata ad un malato e in quella situazione. Era così priva di forze che non si rendeva quasi conto di dove fosse e cosa fosse accaduto. Quando le tornò la memoria, fu presa da un senso di sconforto pensando a cos’era accaduto ad El Morro. Si maledì pensando che alla fine l’aveva “costretto” a rapirla e a mettersi in quella situazione a causa sua. Ed ora era morto, annegato per cercare di riparare la nave, finita in sventura per il fatto che lei era salita a bordo.

El Morrò si svegliò di soprassalto, quanto aveva dormito? Balzò giù dal letto ed immediatamente si accorse che la nave non beccheggiava più come prima. Corse alla finestra che dava sulla coperta: il cielo era sereno. Ed il sole indicava che mancava poco all’alba. Uscì fuori. Fece un rapido giro sulla nave, i danni erano pesanti ma, fortunatamente nulla di irreparabile. Chiese all’infermiere se ci fosseo feriti il quale lo informò che c’erano solo feriti lievi, e che anche la prigioniera stava molto meglio. Andò spedito verso la cabina della donna, bussò e ricevuto il consenso entrò. Lei era ancora a letto visibilmente provata ma viva. “Vedo che stai meglio” disse. A quell’affermazione Anihsa trasalì, spalancò gli occhi come se avesse visto un fantasma. Passato lo stupore, riprese il controllo di se stessa e, in tono sarcastico, disse: “ed io vedo che tu sei ancora vivo”.

Continua